Sia il Legislatore europeo che quello italiano con il decreto Semplificazioni hanno riconosciuto un primo “valore legale” alla blockchain. Il giurista si trova a dover affrontare la tutela dei dati anche in conformità del GDPR, l’identità dei fruitori, la validità giuridica, le marche temporali ed i meccanismi contrattuali.

Il Legislatore italiano ha operato un primo approccio con la “norma Blockchain” del Decreto Semplificazioni.

Il Decreto riporta una definizione di “tecnologie basate su registri distribuiti” (DLT), intendendo le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili.

Il legislatore ha quindi attribuito alle informazioni e ai dati certificati attraverso DLT- secondo il principio di neutralità tecnologica – la stessa validità giuridica attribuita alle informazioni e ai dati certificati attraverso l’uso di altre tecnologie (per esempio la PEC). Dunque produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica.

Questo non significa che i dati sono ritenuti corretti e veritieri, ma che la registrazione delle informazioni, con tanto di data, ora e mittente, va considerata certa e inoppugnabile.